Alla luce della recente risposta ad interpello n. 666/2021, proviamo a riepilogare le regole sulla possibilità di chiudere la partita IVA al momento di cessazione dell’attività, in presenza di fatture ancora da emettere o non incassate oppure di IVA da versare.
Per le attività professionali, l’AdE richiama la circolare 11/E/2007 (pag. 36), affermando che “l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale” e la risoluzione 232/E/2009: “Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile (perché, ad esempio, non è decorso il termine di prescrizione di cui all’art. 2956, comma 1, n. 2 del codice civile) l’attività professionale non può ritenersi cessata.”
E’ però prevista una deroga a tale principio per i soggetti che applicano il regime forfetario (paragrafo 4.3.5 della circolare 10/E/2016) e per i soggetti che applicavano il regime dei minimi (paragrafo 5.1 della circolare 17/E/2012). Per tali regimi, tenuto conto “dall’esiguità delle operazioni economiche che ne caratterizzano l’attività” e “in un’ottica di semplificazione” viene concessa al contribuente la “facoltà di chiudere le proprie pendenze fiscali, imputando all’ultimo anno anche delle operazioni che non hanno avuto ancora manifestazione finanziaria”. In sostanza, forfetari e minimi possono chiudere la partita IVA a patto di emettere fattura per tutte le operazioni ancora in corso e di dichiarare come interamente incassati tali compensi / corrispettivi, nell’ultimo anno di attività.
Per i professionisti in regime ordinario la Cassazione (Sezioni Unite 8059 / 2016 e 22516 / 2020) obbliga il professionista a tenere aperta la propria partita IVA fino a quando non abbia incassato tutti i propri crediti oppure fino a quando non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento dell’incasso anticipando, di conseguenza, il momento di versamento dell’IVA rispetto al termine previsto dall’art. 6 DPR 633/1972.
L’AdE giunge ad analoga conclusione nella riposta 666 prima citata, affermando che “I principi sopra richiamati tornano applicabili anche al caso prospettato – in cui l’istante ha reso delle prestazioni nei confronti di un ente locale, documentate con fattura con IVA ad esigibilità differita – con la conseguenza che, ove l’istante intenda chiudere in anticipo la partita IVA e cancellare l’attività dal Registro delle imprese, con conseguente estinzione della società, lo stesso è tenuto a computare l’IVA differita nella dichiarazione annuale da presentare con riferimento all’ultimo periodo d’imposta prima della chiusura dell’attività.”
In sintesi, basta emettere fattura per ciò che si poteva ancora non fatturare (compensi professionali non ancora incassati) e versare l’IVA (ancorché differita, per cassa o non ancora esigibile) e si può chiudere la partita IVA.
Quanto visto è ovviamente connesso solo agli aspetti IVA; ai fini delle imposte dirette valgono le regole IRPEF, IRES e IRAP.